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LA CINA È VICINA - Cinema indipendente cinese 1993-2007
di Michele Dell'Ambrogio
Circolo del cinema Bellinzona
Spiegando il titolo del suo film del 1967 che abbiamo preso in prestito per questa nostra rassegna, Marco Bellocchio ricorreva ad un paradosso: “la Cina è tanto più lontana quanto la si crede vicina, e tanto più vicina quanto la si crede lontana”. Evidentemente faceva riferimento ad un'altra Cina, quella di Mao e della rivoluzione culturale; ma tant'è, il paradosso non è male e ci piace applicarlo anche alla Cina di oggi. Mai come in questi ultimi tempi la Cina è al centro del mondo: la sua inarrestabile crescita economica, la sorprendente convivenza tra il libero mercato e il regime comunista, gli enormi problemi ecologici, la repressione in Tibet, le prossime Olimpiadi di Pechino sono tutti argomenti che ritroviamo quasi ogni giorno in primo piano nei media occidentali. La Cina non solo ci sembra vicina, ma ce la ritroviamo anche in casa: compriamo montagne di prodotti cinesi o fabbricati in Cina e interi quartieri delle nostre città sono ormai brulicanti di lavoratori cinesi sottopagati, che si vedono poco e ancor meno comunicano con noi, ma ci sono, ci fanno paura e ci cambiano la vita. D'altra parte alcune peculiarità di questo immenso paese ci sembrano lontanissime dalla nostra cultura: il triste record mondiale di esecuzioni capitali ci indigna, la velocità con cui si trasformano le grandi città ci lascia allibiti, e dei retaggi di un'antica cultura che ancora condizionano certi comportamenti capiamo poco o niente.
Il cinema cinese conosciuto in occidente, fino a circa metà degli anni Novanta, era quello dei registi della cosiddetta Quinta generazione: due nomi su tutti, quelli di Zhang Yimou e di Chen Kaige, e un bel numero di film sontuosi, solitamente ambientati nel passato (almeno fino a prima de La storia di Qiu Ju di Zhang Yimou, che è del 1992), premiati nei più prestigiosi festival internazionali ma spesso osteggiati se non proibiti in patria. La nostra rassegna vuole invece gettare uno sguardo sulla generazione successiva, la Sesta,
formata da quei giovani registi nati negli anni Sessanta, che parteciparono attivamente agli avvenimenti di Piazza Tien An Men e che furono poi colpiti negli anni Novanta dal divieto di lavorare nell'industria cinematografica. È con loro che si può finalmente parlare di un cinema indipendente, spesso realizzato in assoluta clandestinità e in ogni caso sempre indigesto al regime. Il primo film indipendente cinese dal 1949 è da tutti gli storici riconosciuto in Mama (1990) di Zhang Yuan, che apre la strada ai suoi compagni della Sesta generazione: il film, realizzato con modesti finanziamenti privati, affronta il dramma di una giovane donna che alleva da sola il figlio ritardato mentale e vuole opporre ai film precedenti, definiti dal regista “romantici” e “passatisti”, una visione “urbana, realistica o oggettiva”. Sarà però solo con il suo film successivo, Bastardi pechinesi (che inaugurerà la nostra rassegna a Bellinzona) che Zhang Yuan riuscirà a farsi conoscere in occidente, grazie soprattutto al Festival di Locarno di Marco Müller, e a mostrare per la prima volta che il disagio giovanile e la musica rock sono una realtà ben presente anche nella società cinese.
Pur senza nessuna pretesa di documentare in modo esaustivo il lavoro della Sesta generazione, i dodici film della rassegna intendono proporre uno sguardo diverso sulla Cina, vicina o lontana che sia: la maggior parte non sono mai stati proiettati sugli schermi ticinesi, un paio (Passatempo di Ning Jing e Il postino di He Jianjun) sono in prima visione svizzera. Come tutte le “tendenze” cinematografiche, però, anche la Sesta generazione non è un “movimento” omogeneo: ogni regista ha il suo stile personale e la sua particolare visione del mondo, e nessuno vuole sentirsi prigioniero di dogmi o sottostare ad un manifesto di intenti.
Ciò che può accomunarli è solo la loro appassionata difesa della libertà di espressione. E in un paese in cui questa libertà è ancora lungi dall'essere riconosciuta, la cosa non è di poco conto.
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