THE LUBITSCH TOUCH
CIRCOLO DEL CINEMA DI BELLINZONA
9 GENNAIO - 10 FEBBRAIO 2009
in collaborazione con:
LAB 80 Bergamo, CAC-Voltaire Ginevra, Spiegel Film Zurigo
THE MERRY WIDOW
La vedova allegra, 1934

Sceneggiatura: Samson Raphaelson, Ernst Vajda, dall'operetta Die lustige Witwe (1905) di Victor Léon e Leo Stein, musica di Franz Lehár; fotografia: Oliver T. Marsh; musica: Franz Lehár, arrangiamento di Herbert Stothart; interpreti: Maurice Chevalier, Jeanette MacDonald, Edward Everett Horton, Una Merkel, George Barbier, Minna Gombell, Ruth Channing, Henry Armetta, Sterling Halloway, Akim Tamiroff, Donald Meck…; produzione: Irving Thalberg per Metro Goldwyn Mayer.
35mm, bianco e nero, v.o. st. it., 99'

La Marsovia, immaginario stato balcanico da cui prende le mosse la vicenda di Sonia, ricca ereditiera che, nelle intenzioni del Reggente, dovrà sposare un giovane ufficiale affinché le sue ricchezze non prendano la via di stati stranieri, è ancora un mondo fatato e felice, in cui tutto avviene secondo i ritmi del minuetto e del manuale di monsignor Della Casa. Così si può dire della Parigi in cui sboccerà l'amore tra Danilo e Sonia e dove la vedova ha deciso di concludere, in allegria, la sua vedovanza. Danilo, spedito in missione, lui che era a letto con la regina, incontra da Chez Maxim's Sonia, in veste di donna di mondo. Danilo non la riconosce. Ma lei non si sottrae al suo fascino: il tutto ha appena quel sapore di licenziosa mondanità che sarà sufficiente a provocare le reazioni dei censori dell'epoca. Il gioco degli equivoci e quello, feticistico, dei travestimenti orientano la trama verso significati che non appartenevano al mondo di Lehár. Dopo l'incontro galeotto nel locale parigino, l'amore per Danilo infiamma il cuore di Sonia, tanto che lei accorrerà in Marsovia, a difenderlo dall'accusa di tradimento, per aver fallito la missione. Il re li mette entrambi nella stessa cella. L?amore trionfa. Sonia sposa Danilo, e lo stato è salvo.

Commedia o pochade? Scherzo galante o farsa intrisa di doppi sensi? È difficile rinchiudere entro gli schemi di un genere l'opera di Ernst Lubitsch. Lo sforzo, in questo film, è ancora maggiore, in quanto si tratta di una materia che il regista prende a prestito e manipola con l'abilità d'un prestigiatore, mutandone lo spessore a seconda dell'epoca e del pubblico che assiste alla proiezione ed aggirando abilmente gli ostacoli posti dalla censura dell'epoca. Rispetto alle altre due edizioni (quella di Erich von Stroheim è precedente di 9 anni, quella di Curtis Bernhard verrà qualche anno dopo) spicca qui la figura di Maurice Chevalier, un Danilo in grado di offrire al personaggio una levità parigina che il personaggio di Stroheim rifiutava a tutto vantaggio di stivali e frustini. Spicca, nella messa in scena, una cornice figurativa di grande splendore e di raffinata eleganza: il gioco dei bianchi e dei neri, l'alternanza delle sfumature, i ritmi non potrebbero essere più lubitschiani.