CIRCOLO DEL CINEMA DI BELLINZONA

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Alain Resnais

(Vannes, Morbihan, Francia 1922). Regista. Figlio di un farmacista, soffre d'asma. Passa le sue giornate di malato leggendo. A 12 anni gli regalano una cinepresa 8mm. Nel 1939 decide di diventare attore e si trasferisce a Parigi per seguire i corsi di René Simon. Nel 1943 si iscrive all'IDHEC, che frequenta per due anni speciaiizzandosi in fotografia e montaggio. Realizza un mediometraggio, alcuni cortometraggi e un lungometraggio 16 mm, Ouvert pour cause d'inventaire (Aperto per inventario, 1946), interpretato da Danièle Delorme, per poi passare al cinema pubblicitario. Nel 1948 gira il primo di alcuni documentari d'arte, genere in cui si dimostrerà un maestro: a Van Gogh fanno seguito Guernica (1950), sul quadro di Picasso Gauguin (1950) e, in collaborazione con Chris Marker, Les statues meurent aussi (Anche le statue muoiono, 1951), sull'arte africana. E' tuttavia con Nuit et brouillard (Notte e nebbia, 1955) che cominciano a delinearsi la poetica e lo stile di R.: il passato (materiali girati dai nazisti) e il presente (i campi di concentramento come sono ora) si alternano uniti e contrapposti da un montaggio sapiente e da un commento (la sceneggiatura è dello scrittore Jean Cayrol protagonista di quella terribile esperienza), che sottolineano la necessità di non dimenticare. Sul tema della memoria ruota anche un documentario commissionato dalla Biblioteca Nazionale: Toute la mémoire du monde (Tutta la memoria del mondo, 1956). Il primo lungometraggio di R., Hiroshima mon amour (id., 1959) su un soggetto di Marguerite Duras, di nuovo mette in scena l'alternarsi dei ricordi e di quanto si sta vivendo al presente: il film suscita scalpore per la costruzione acronologica, in cui passato e presente si fondono impercettibilmente, trasportando nel cinema tecniche letterarie già affermatesi con lo 'stream of consciousness' e nel 'nouveau roman'. Anche L'année dernière a Marienbad (L'anno scorso a Marienbad, 1961) ha una matrice letteraria: autore del soggetto e della sceneggiatura è Alain Robbe-Grillet, uno dei capiscuola del 'nouveau roman'. Questa volta nessun indizio permette di capire quale sia il presente e quale il passato. Muriel ou le temps d'un retour (Muriel, il tempo di un ritorno, 1963) - soggetto e sceneggiatura di Jean Cayrol - riprende la tematica della memoria: il ricordo qui è il mezzo per ritrovare la propria identità e il passato è quello, recente e inconfessabile, della guerra d'Algeria. Se paragonato ai precedenti, lo stile di R. è diventato quasi tradizionale: una svolta che trova conferma in La guerre est finie (La guerra è finita, 1966) - stavolta gli fornisce la sceneggiatura un altro scrittore, Jorge Semprun -, storia di un militante spagnolo messo a confronto con le pratiche terroristiche delle nuove generazioni e incapace di rifiutare un passato glorioso di lotte. Dopo due episodi girati per film collettivi - quello di Loin du Vietnam (Lontano dal Vietnam, 1968) e quello di Je t'aime, je t'aime (id., 1968), un viaggio fantascientifico nel tempo - R. riprende a dirigere lungometraggi, nel 1973 con uno sfarzoso e sfortunato Stavisky (Stavisky il grande truffatore), in cui J.-P. Belmondo è il truffatore che mette a soqquadro la vita politica ed economica della Francia. Nel 1977 R. si riscatta e realizza quella che è considerata la sua opera migliore, Providence (id.), in cui - con la collaborazione dello sceneggiatore David Mercer - ritorna su tematiche a lui care e - aiutato da attori della levatura di Dirk Bogarde e John Gielgud - indaga di nuovo nella psiche umana, nel passato come è vissuto dall'uomo e soprattutto sui rapporti che intercorrono tra la realtà e la creazione letteraria. Per la prima volta R. non ha al suo fianco uno scrittore. Se qui i flashback si riferiscono al mondo dell'immaginazione, nel film seguente, Mon oncle d'Amerique (id., 1980), servono a illustrare le tesi del sociobiobiologo Henri Laborit, esposte da u voce fuori campo, che paragona le reazioni dei tre personaygi principali a quelle delle cavie sottoposte a esperimenti nei suo laboratori. R. costruisce con grande abilità un film affasciname, che si muove tra la finzione e il saggio. Ritorna sul problema dell'immaginazione e del tempo con La vie est un roman (La vita è un romanzo, 1983) interpretato da Fanny Ardant e Vittorio Gassman, ma non riesce a recuperar l'incisività di Providence, e l'allegoria macina a vuoto. Con il cupo L'amour à mort (id., 1984) affronta la tematica dell'amore portato alle estreme conseguenze, quando la morte diventa il solo mezzo per ricongiungersi con l'essere amato. In fondo, il tema della morte è sempre stato presente nell'opera di R.: morte rappresentata fisicamente in Nuit et brouillard (i cadaveri che la ruspa rimuove), desiderata o ricordata negli altri, motivo di tormento o conclusione pacifica di una vita, mezzo per sfuggire ai problemi dell'esistenza. Qui diventa nucleo centrale di una costruzione narrativa che, ancora una volta, cerca nuove vie di espressione. Non le trova in Mélo (Melò, 1986) anche se le ambizioni erano alte: si tratta di una provocazione che investe il lavoro degli attori. Sabine Azéma (la compagna del regista) e Pierre Arditi, impegnati a rifare un bolso melodramma di Henri Bernstein. R. accetta la costrizione dello spazio teatrale (ricostruisce tutto in studio), e se ne serve per una specie di sublimazione della retorica sentimentale. Nel 1989, su soggetto dell'autore di disegni animati Jules Feiffer, ricama con spirito più greve del necessario una satira degli intellettuali borghesi e, con I Want to Go Home (Voglio tornare a casa!), s'impiglia in un pasticcio in cui intervengono anche i cartoons. Il risultato è deludente, anche se il tessuto satirico ha una certo valore. Dopo aver contribuito alla Enciclopedia mondiale dell'audiovisivo con un George Gershwin (1992), mediometraggio di 55', si getta a capofitto in un'altra impresa folle e smisurata, bizzarra e acuta, insopportabile e (forse) geniale - Smoking e No Smoking (id.. 1994) - un film in due parti che nel complesso occupano 4 ore e 45' di proiezione. L'idea: "All'inizio della storia - spiega R. - una donna deve decidere se aspettare o meno le sei di sera per accendere la prima sigaretta e questa banale decisione provoca una cascata di cambiamenti radicali nella sua vita". La "cascata" prende forma in diverse storie immaginarie, interpretate sempre dagli stessi attori, Sabine Azéma e Pierre Arditi. Il tutto si suppone avvenga - anche qui R. gira rigorosamente in teatro di posa - a Hutton Buscel, nello Yorkshire, perché il testo nasce da una commedia di Alan Ayckburn dalla durata di 16 ore. La follia, che vede gli attori fare le capriole da un personaggio all'altro, ha inspiegabilmente un buon successo di pubblico. Dice la critica che l'eleganza squisita della composizione (fotografia di Renato Berta) e la finezza del gioco recitativo mantengono sempre alto il livello del film.


Scheda tratta da F. Di Giammatteo, Nuovo dizionario universale del cinema. Gli autori, Roma, Editori riuniti, 1996