CIRCOLO DEL CINEMA DI BELLINZONA

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Alain Tanner

(Ginevra, Svizzera 1929). Regista. Figlio di un pittore e di un'attrice, studia economia al Collegio Calvino di Ginevra, dove, insieme a Claude Goretta, fonda un cineclub. Dopo la laurea si impiega in una compagnia di navigazione con sede a Ginevra, e il lavoro lo porterà in seguito a girare il mondo su navi da carico. Nel 1955 è a Londra, dove trova un impiego presso il British Film Institute. E l'epoca del free cinema e T. ha l'occasione di conoscere registi come Tony Richardson, Karel Reisz e Lindsay Anderson, la cui influenza emergerà, di lì a poco, nel cortometraggio che T. realizzerà in coppia con l'amico Goretta, Nice Time (Divertimento, 1957), un documentario sulla vita notturna di Piccadilly, omaggio a Vigo, premiato lo stesso anno a Venezia nella sezione dedicata al cinema sperimentale. Gli anni seguenti vedono T. Iavorare per la BBC e per la televisione della Svizzera romanda, e girare documentari, prima in Francia e quindi in Svizzera, tra cui Les apprentis (Gli apprendisti, 1964), un'inchiesta sugli adolescenti, e Une ville à Chandigarh (Una città a Chandigarh, 1966), un servizio sui lavori di Le Corbusier nella capitale del Punjab. Tornato in Svizzera fonda insieme a Goretta, Roy, Soutter e Lagrange, il Groupe 5, siglando così l'atto di nascita di quello che è stato definito il nuovo cinema svizzero. Grazie alle pressioni fatte dal gruppo sulla televisione svizzera, T. nel 1969 può realizzare il suo primo lungometraggio a soggetto, Charles mort ou vif (Charles morto o vivo), un'opera già matura, incentrata sulla crisi esistenziale di un industriale svizzero all'apice della carriera, che vince il festival di Locarno, facendo conoscere all'estero T. e il cinema elvetico. Il successivo La salamandre (La salamandra, 1971), un film a soggetto condotto alla maniera del film-inchiesta, suscita vasti consensi, soprattutto in Francia. L'opera (sceneggiata con lo scrittore inglese John Berger, collaboratore di T. anche in futuro) rappresenta un'acuta riflessione sui limiti del cinéma-vérité (che pur tanta influenza ha avuto su T.) e rivela il carattere antirealistico di T., orientato verso una forma epica e didattica del racconto, derivata direttamente da Brecht. Dopo Le retour d'Afrique (Il ritorno dall'Africa, 1973) e Le milieu du monde (Il centro del mondo, 1974), la poetica di T. trova la sua massima espressione in Jonas qui aura 25 ans en l'an 2000 (Jonas che avrà 20 anni nel 2000, 1976), un apologo sul vuoto esistenziale e politico lasciato dalla fine delle ideologie. Negli anni seguenti T. continua la sua indagine storico-politica, accentuando però la chiave allegorica e spostandosi su tematiche più universali e metafisiche: con Messidor (id., 1979) prende in esame l'incomunicabilità, l'alienazione e la frustrazione delle speranze deluse; con Les années lumière (Gli anni luce, 1981), vincitore del premio speciale della giuria al festival di Cannes del 1981, opera una rilettura del mito di Dedalo e Icaro per alludere alla necessità di ricercare comunque il senso di un'esistenza che sembra esserne priva; con Dans la ville blanche (Nella città bianca, 1983) indugia su meditazioni metalinguistiche, non mancando di accennare alla propria condizione di cineasta. Nel 1985 ha realizzato No Man's Land (id.), film in cui l'ambientazione (la zona che sta tra il confine svizzero e quello francese) si configura come metafora della condizione giovanile contemporanea. T. è un isolato e un marginale: isolato nella cultura svizzera, marginale perché svizzero. Da questi due fattori negativi ricava la sua forza di cineasta, di osservatore del mondo. Le sue immagini sono quelle di uno che sente di non poter 'partecipare': sono lucide, quasi preziose, snobistiche perfino, fredde. Ma la freddezza si trasforma in una specie di fuoco interno, di indignazione per le brutture del mondo, per i soprusi degli uomini e della società, per l'ingiustizia, per la mancanza di fantasia. Il sogno non è lecito (Les années lumière) ma è sempre possibile; la rivolta non è possibile (Messidor) ma è auspicabile, anche se drammatica e disperata. Il regista accompagna la solitudine dei suoi personaggi con una partecipazione autobiografica e un gusto un poco patinato - da rivista di lusso, da ambiente asettico, da ospedale elvetico - che ingentilisce qualsiasi immagine egli componga. Lo farà anche nei film successivi, sia pure con qualche concessione al melodramma, nel tentativo di dare consistenza maggiore alle proprie storie. Con Laura Morante e Jean-Louis Trintignant gira nel 1987 La vallée fantôme (La valle fantasma). Nel 1987 recupera anche la sua vocazione sperimentale, che gli aveva portato fortuna, e con la collaborazione dell'attrice Myriam Mézières gira in bianco e nero, a bassissimo costo, Une flamme dans mon coeur (Una fiamma nel mio cuore), analisi a frammenti della follia d'amore (una donna subisce dapprima la gelosia dell'amante algerino e poi è vittima della gelosia che prova nei confronti del suo nuovo amante). Nel 1989 torna al suo rovello polemico narrando di un matrimonio sbagliato (fra uno svizzero e un'indiana, trovata sfogliando il catalogo di una agenzia) e di un (fallito) tentativo di uscirne (da parte della donna): La femme de Rose Hill (La ragazza di Rose Hill). Segue, nel 1991, L'homme qui a perdu son ombre (L'uomo che ha perduto la sua ombra), storia di un giornalista che si rifugia in Spagna per un periodo di riflessione. Nel 1996 T. presenta a Cannes con successo Fourbi (Baraonda) in cui recupera il personaggio di Rosemonde (La salamandre) per condannare lo sfrutttamento televisivo delle disgrazie umane, sistematicamente trasformate in spettacolo.


Scheda tratta da F. Di Giammatteo, Nuovo dizionario universale del cinema. Gli autori, Roma, Editori riuniti, 1996