Charles, mort ou vif, 1969
di Alain Tanner
soggetto e sceneggiatura: Alain Tanner; fotografia: Renato Berta; montaggio: Sylva Bachmann;
interpreti: François Simon (Charles), Marcel Robert (Paul), Marie Claire Dufur (Adeline), Maya Simon (Marianne), André Schmidt; produzione: Etoile Distribution; origine: Svizzera; durata: 90'.
Charles, un ricco industriale di orologi, parla del suo sgomento di uomo arrivato in un'intervista concessa alla televisione: quel giorno si festeggia il centenario della sua fabbrica condotta con grande successo di padre in figlio. Ma si festeggia anche il suo compleanno. E Charles decide di abbandonare tutto. Dopo aver passato una notte liberatoria in un hotel, conosce in un caffè un artista, Paul, e la sua compagna, Adeline. Decide di stare con loro. Dopo alcuni momenti passati in grande armonia con i suoi amici, Charles ritrova la figlia Marianne, una studentessa rivoluzionaria ch'egli scopre in un'ottica diversa da quella familiare. Ma la sua vita è fatalmente inquinata: tornerà nel bar di partenza ad annegare nell'alcol la sua sfiducia, e a nulla varranno i consigli degli amici. Poco tempo dopo viene ritrovato dal figlio maggiore e accompagnato da due infermieri in una clinica psichiatrica.
Realizzato con un basso costo produttivo - 120 mila franchi - Charles, mort ou vif ottenne un buon successo di critica a Cannes e a Locarno, dove vinse il primo premio. Fu, inoltre, il film che portò sulla scena internazionale la cinematografia svizzera. Ispirato a un caso veramente accaduto racconta la tristezza e il dolore di un uomo come tanti, un padre medio-alto borghese delle ultime generazioni. Calato in una Svizzera grigia e sbiadita, vista con realismo è un dramma esistenziale, ben reso nell'indagine psicologica dal protagonista François Simon, proiettato verso una realtà intensa e inconsueta, secondo quella che è diventata la tendenza generale del cinema elvetico. Comunica allo spettatore un senso di disperata atonia, di nevrosi inespressa e inesprimibile. Primo lungometraggio di Tanner, regista della televisione della Svizzera romanda e animatore del 'Groupe 5' a Ginevra, fu una rivelazione inattesa: la rivelazione, soprattutto, di un talento cinematografico assai duttile, capace di osservazione e di critica corrosiva (specialmente nei confronti delle realtà che l'ipocrisia sociale e il conformismo tendono a nascondere).