Se Quando volano le cicogne (Letjat Zuravli) di Michail Kalatozov aveva preannunciato il disgelo sin dal 1958, in Urss bisogna attendere gli anni Sessanta per veder nascere davvero delle estetiche nuove, in particolare in Ucraina e in Georgia. Il lirismo fiammeggiante di Teni zabytich predkov (t.l.: Le ombre degli avi dimenticati) di Sergej Paradzanov evoca il fantastico e il misticismo ucraino, mentre Listopad (t.l.: La caduta delle foglie) di Otar Ioseliani insiste sulle peculiarità di georgiani ben poco rispettosi dell'ideologia socialista. Sono orientamenti nuovi, sino a quel momento soffocati. Anche in Russia il disagio di vivere e la disinvoltura di Mne dvadcat'let (t.l.: Ho vent'anni, Marlen Chuciev, 1962) e di A zonzo per Mosca (Ja sagaju po Movske, Georgij Danelija, 1965) hanno una certa aria da Nouvelle Vague alla francese, mentre Il primo maestro (Pervyi ucitel', 1965) di Andrej Michalkov-Koncalovskij è di una magistrale bellezza. La complessità del periodo brezneviano è propizia a tentativi molto interessanti, come quelli di Vasilij Suksin, popolarissimo in Urss per le sue commedie leggere, mentre altri suoi film più impegnati avranno gravi vicissitudini negli anni Settanta. Ma l'opera più forte sarà quella di Andrej Tarkovskij, che spoglia la guerra dei suoi luoghi comuni (L'infanzia di Ivan [Ivanovo detsvo], 1962) e, sin dal 1966, celebra la libertà artistica e religiosa nel quadro pieno di forza e di bellezza di un Medioevo riveduto e corretto da un grande visionario (Andrei Rubliov [Andrej Rublëv]), intraprendendo con quel film un doloroso calvario tra le persecuzioni subite nel suo Paese e il riconoscimento internazionale.
I film sovietici inseriti nella composita rassegna pesarese di quest'anno rappresentano probabilmente l'ultimo risarcimento nei confronti delle vessazioni censorie dell'epoca pre-gorbacioviana. In questo caso il confronto a distanza tra anni Sessanta e anni Ottanta che il festival ha proposto in occasione del venticinquennale, diventa un vero flash-back. Si continuano infatti a scongelare opere proibite, con una riscoperta che infrange ormai il tabù di autori più che dissidenti, addirittura emigrati all'estero, chi in America, chi in Israele, alcuni dei quali sono stati anche invitati a ridare l'ordine originario ai montaggi massacrati dalla censura. Nelle sale riescono inoltre film a suo tempo circolati, ma ora reintegrati delle parti mancanti. Insomma, sono gli ultimi scampoli di un discorso di trasparenza, risolto in gran parte nella ricostruzione della memoria di una generazione dispersa e umiliata; ora però la gorbacioviana, la condizione di un presente fatto anzitutto di revisione del passato, è in via di esaurimento. Le lancette dell'orologio della Storia sono state rimesse alla pari con quelle degli altri paesi e si fa evidente la necessità di risposte all'attualità dei problemi anche nel cinema.
* Testo tratto da L. Stefanoni, URSS: Trasparenza e opacità, in "Cineforum", 286, luglio-agosto 1989.