CIRCOLO DEL CINEMA DI BELLINZONA

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Ermanno Olmi

(Treviglio, Bergamo 1931). Regista. Di famiglia contadina, trasferitosi giovanissimo a Milano, fonda la Sezione cinema della Edisonvolta per la quale dirige, dal 1953 al 1961, una trentina di documentari tecnico-industriali di pregevole fattura, tra cui La diga sul ghiacciaio (1953), Tre Fili fino a Milano (1958), Un metro è lungo cinque (1961). Con il lungometraggio Il tempo si è fermato (1959) mette a frutto le esperienze documentaristiche tracciando la storia dell'amicizia tra il vecchio guardiano di una dlga e un giovane compagno nell'isolamento dell'alta montagna. Nel 1961 gira Il posto, un'opera dai toni delicati sulle aspirazioni di due giovani al primo impiego che contiene tutti i motivi della sua , dal minuto realismo all'attenzione per la storia degli uomini. Nel 1963 è la volta de I fidanzati, racconto d'ambiente operaio sulla crisi dei sentimenti che gli procura qualche accusa di intimismo. Dopo ... E venne un uomo (1965), biografia di Giovanni XXIII lontana da ogni atteggiamento agiografico, prosegue, senza compromessi con il mercato, la sua solitaria riflessione sulla degradazione dei rapporti umani e sul valore dei sentimenti in film come Un certo giorno (1968), I recuperanti (1969), Durante l'estate (1971), La circostanza (1974), gli ultimi tre girati per la televisione. Il suo capolavoro arriva nel 1977 con un'opera dal respiro corale, L'albero degli zoccoli, che vince la Palma d'oro al festival di Cannes. Recitato in dialetto bergamasco da attori non professionisti, secondo la consuetudine di O., il film si affida alla magia del gesto e dei volti per presentare la vita dei contadini in una cascina alla fine del secolo scorso, in un continuo intrecciarsi di realistico e fantastico. Nel 1982 porta a termine Camminacammina, rivisitazione in chiave allegorica della leggenda dei Magi. E' un passo falso: l'atmosfera 'fiabesca' non raggiunge mai il tono della giusta levità, i personaggi hanno una corposità realistica che disturba, e il significato generale (l'incapacità degli uomini di intendersi e di operare insieme) stenta a farsi luce tra le pieghe del racconto. Nel 1983 O. gira un documentario anticonformistico, assai preciso e pungente, su Milano, per una serie televisiva: solleva, naturalmente, le proteste dei benpensanti. E' il destino di questo autore, cattolico, appartato, protestatario e umile al tempo stesso: un impasto di cultura e di psicologia che non trova l'eguale nel cinema italiano. L'esordio di ll posto fu salutato come una rivelazione: nasceva un modo diverso - semplice, a contatto immediato con gli uomini e le cose, secondo una poetica dei 'piccoli mondi' popolari che è molto lombarda - di accostarsi al linguaggio cinematografico, veduto finalmente come un'entità avvicinabile anche senza grandi mezzi, macchina da presa a mano (O. è l'operatore dei suoi film, come pure Pasolini, in Italia), attenzione amorevole ai gesti, ai fatti e alle parole della gente comune. Il 'piccolo mondo' dei ragazzi in cerca di lavoro si esprime assai bene anche in I fidanzati, ma il successivo interesse del regista comincia a oscillare fra mondi diversi, non sempre messi a fuoco, sino a quando O. non riscopre in se stesso le profonde e solide radici contadine e recupera un mondo ancora diverso, nella fiaba più fiabesca che gli accade di realizzare, L'albero degli zoccoli. Dopo il documentario dedicato a Milano, O. è colpito da una grave malattia che lo costringe per molti mesi alla inattività, nella sua casa di Asiago dove produce short pubblicitari (a Bassano del Grappa, intanto, ha aperto una scuola pratica di cinema). Ripresosi dopo qualche anno, torna al cinema con l'interessante storia di una difficile educazione alla vita, in un ambiente chiuso e autoritario (e, a modo suo, inquietante), Lunga vita alla Signora (1987) che ottiene il Leone d'argento alla Mostra di Venezia. Più intrigante, ma meno riuscito, è il successivo La leggenda del santo bevitore (1988), ricavato dal regista e da Tullio Kezich - suo antico collaboratore e produttore - da un racconto di Joseph Roth. Ambientato in una Parigi periferica e interpretato con sorprendente finezza da Rutger Hauer, il film trasforma la storia in una graziosa fiaba di devozione e di santità, ottenendo un risultato discutibile, che non impedisce alla giuria della mostra veneziana di assegnare a O. il Leone d'oro. Fallito è il racconto estratto da "Il taglio del bosco" di Dino Buzzati - Il segreto del bosco vecchio (1993) - che Paolo Villaggio, del tutto fuori tono, interpreta in chiave di fiaba: O. non è tagliato per le atmosfere sospese in cui le piante e gli animali parlano. Nel 1994, per la Tv, il regista dirige, nel quadro del progetto sulla Genesi, La creazione e il diluvio. C'è enfasi e incertezza, come se O., uscito dal terreno che gli è congeniale, trovasse difficoltà a esprimersi. Cineasta anomalo (c'è chi lo definisce, sbagliando, neorealista), sguardo attento alla vita degli umili, mosso sempre da compassione per i suoi simili, abile a sfruttare le risorse del linguaggio (è sovente operatore e montatore dei suoi film), O. resta una presenza importante nell'ambito del cinema italiano.


Scheda tratta da F. Di Giammatteo, Nuovo dizionario universale del cinema. Gli autori, Roma, Editori riuniti, 1996