CIRCOLO DEL CINEMA DI BELLINZONA

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Glauber Rocha

(Vitória da Conquista, Bahia, Brasile 1939 - Rio de Janeiro 1981). Regista. Ha l'animo del provocatore, la foga dell'entusiasta. Suscita consenso incondizionato, e poi ripulsa, anche politica. A 10 anni è attore nel teatrino del collegio che frequenta a Bahia, a 16 scrive sui giornali e per la radio. E' critico cinematografico per qualche tempo su riviste come 'Mapa' e 'Angulos', su un settimanale del partito comunista brasiliano, 'O Momento'; è cronista per il 'Journal de Bahia'. Si iscrive alla facoltà di giurisprudenza ma l'abbandona quasi subito per affrontare il cinema e gettarsi in un'avventura che ha pochi precedenti nella storia di un mezzo di comunicazione che pure di personalità bizzarre ne ha vedute molte. R., realizzando due cortometraggi di carattere sperimentale - O patio (Il patio, 1958) a A Cruz na praca (La croce nella piazza, 1959) -, getta le basi di una sorta di rivoluzione ideologico-artistica che è destinata non solo a fondare quello che sarà chiamato il cinema nôvo ma anche a lasciare un segno su tutta la cultura dell'America Latina. Nel 1961, a 22 anni, gli affidano il compito di sostituire Luis Paulino dos Santos nella regia del lungometraggio Barravento. Ne riscrive la sceneggiatura e narra questa storia di pescatori sfruttati con un piglio aggressivo e un'accentuazione visionaria. E' l'inizio di una breve stagione felice, dalla quale emergeranno le punte più alte del cinema nôvo. Un saggio critico-organizzativo sulla necessità di creare nuove strutture di produzione e di distribuzione per il cinema brasiliano ('Revisão crítica do cinema brasileiro') precede il primo grande film del regista, Deus e o Diabo na Terra do Sol (Il dio nero e il diavolo biondo, 1964), storia tra fantasia e realtà, nell'ambiente arso e inospitale del Nordeste, dove misticismo e violenza sconvolgono la vita degli uomini. R. presta la sua opera anche come produttore, per guidare le azioni dei colleghi che, come lui, puntano al rinnovamento. La situazione politica sta cambiando, le libertà si riducono. Nel 1967, quando il Brasile ormai subisce una dura censura da parte del governo militare, realizza un altro film, Terra em transe (Terra in trance), un'opera di intonazione più direttamente politica, in cui si esamina il progressivo compromettersi degli intellettuali con il potere: lo stile è sempre quello, sciolto e ansimante, del film precedente, dove predominano le riprese con la macchina a mano. Nel '68, R. inizia (e lo terminerà solo nel 1972) Câncer, un'opera sperimentale di impianto improvvisato, di influenza godardiana, girata in presa diretta. Abbandonato l'esperimento, si rivolge a un altro tema di misticismo e di violenza, O Dragao da Maldade contro o Santo Guerreiro, Antonio das Mortes, 1969), in cui le rivendicazioni sociali del Nordeste si mescolano ai sussulti di una cultura tradizionale, fortemente inquinata di superstizione e di intolleranza. E' l'ultimo film che R. può girare in patria. Comincia l'esilio. L'anno successivo, vagando tra Africa e Italia, riesce a comporre un esempio di quello ch'egli chiama il , satira e invettiva contro il colonialismo europeo, come anche il titolo indica, nel suo geniale pastiche linguistico: Der Leone Have Sept Cabecas (Il leone a sette teste, 1970). Nello stesso anno, in Spagna, gira Cabezas cortadas (Teste tagliate), un film ispirato al 'Tirano Banderas' di Ramon del Valle-lnclan. Sono film di scarso successo, e per il pubblico poco comprensibili: lo slancio del cinema nôvo fuori del Brasile perde di forza, si complica, si atrofizza. R. tenta di realizzare un film di montaggio, e gli ci vorranno tre anni, dal '72 al '75, per portare a termine questa singolare, polemica A história do Brasil (La storia del Brasile). Nel '75, dopo aver scritto la sceneggiatura di un film per la RAI (mai andato in porto), gira in 16 mm Claro, con Carmelo Bene e Juliet Berto. E, inaspettatamente, rientra nel Brasile dei militari, suscitando sorpresa e indignazione. Qui realizza un documentario, scrive un romanzo ('Riverão Sussuarana'), gira Jorjamado no cinema (Jorge Amado al cinema), collabora con la televisione, con quotidiani e riviste. Può così realizzare un film - A idade da terra (L'età della terra, 1979) - che sarà presentato l'anno dopo alla Mostra di Venezia, e accolto con sospetto e irritazione, quasi si trattasse, non solo di un'opera confusa, ma di una resa del regista alla dittatura. La crisi è ormai evidente, R. non trova una strada per poter dare corpo alla nuova situazione, né per criticarla né per analizzarla: è giunto a una fase di estrema incertezza. Pubblica ancora un saggio, 'Revolucão do cinema nôvo', e si trasferisce in Portogallo. La morte lo coglie a Rio, per una polmonite mal curata a Lisbona. La sua opera ha rappresentato, nella fulminea apparizione e nella rapidissima scomparsa, l'emblema dello stesso cinema nôvo, movimento generoso e velleitario, immaginoso e concreto, allucinato, vivo: si pretendeva rivoluzionario, è stato al massimo anarchico. R. ha consegnato alla storia del cinema immagini di squillante, brutale espressività, in una specie di slancio irripetibile, gioioso e furente.


Scheda tratta da F. Di Giammatteo, Nuovo dizionario universale del cinema. Gli autori, Roma, Editori riuniti, 1996