CIRCOLO DEL CINEMA DI BELLINZONA

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La Nová Vlna cecoslovacca

Lásky jedné plavovlásky
(Gli amori di una bionda), 1965

di Milos Forman

soggetto e sceneggiatura: Jaroslav Papousek, Ivan Passer, M. Forman; fotografia: Miroslav Ondricek; scenografia: Karel Cerny; musica: Evzen Illín; assistente alla regia: I. Passer; montaggio: Miroslav Hajek; interpreti: Hana Brejchová (Andula), Vladimir Pucholt (Milda), Vladimir Mensik (Vacovsky), Milada Jezková (madre di Milda), Josef Sebánek (padre di Milda), Jana Novaková (Jaruska); produzione: Studio Barrandov (Praga); origine: Cecoslovacchia; durata: 82'.

In una ciîtadina di provincia le operaie del calzaturificio soffrono per la penuria di uomini. Il direttore chiede che venga inviato nel paese un contingente di soldati. Purtroppo, durante la festicciola organizzata in onore dei nuovi venuti, le ragazze si accorgono che sono tutti piuttosto attempati e con famiglia. Andula nota però che il pianista dell'orchestrina, Milda, è un ragazzo carino. I due, grazie anche all'intraprendenza e alla mancanza di scrupoli di lui, finiscono a letto insieme. L'indomani Milda riparte per Praga e lascia il suo indirizzo alla ragazza, la quale, stordita dall'incontro con il 'primo amore', abbandona tutto e lo raggiunge. Ma trova soltanto i genitori che la trattano quasi come una poco di buono. Quando rientra, il ragazzo è sorpreso e contrariato e, dovendo cederle la propria camera, è costretto a dormire insieme ai genitori. Origliando alla porta Andula capisce quanto la sua presenza sia sgradita e, in piena notte, se ne va piangendo. Tornata in fabbrica racconterà di aver vissuto una magnifica storia d'amore.

Nato da uno spunto reale, il secondo fllm del capofila della nova vlná somiglia al precedente, Cerny Petr (Asso di picche, 1963). Accolta molto bene alla Mostra di Venezia, la commedia di Forman conferma le qualità del suo autore: il tocco leggerissimo nel raccontare esili 'educazioni sentimentali' di personaggi le cui inquietudini e inettitudini rispecchiano quelle di un'intera generazione, estranea ai 'grandi valori' propagandati da una vuota retorica. Il fresco autobiografismo dei suoi ritratti lo avvicina all'ungherese István Szabó e al polacco Jerzy Skolimowski, suoi quasi coetanei nel 'nuovo cinema' dei paesi socialisti, ma ciò che distingue Forman è il suo bozzettismo che, al di là di una narrazione priva di conflitti drammatici, riesce a farsi aspra e corrosiva messa alla berlina dello squallore e della meschinità.