CIRCOLO DEL CINEMA DI BELLINZONA

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Jirí Menzel

(Praga, 1938). Regista. Frequenta, alla Scuola di cinema, i corsi di Otakar Vávra. Nel 1962 si diploma con un simpatico mediometraggio narrativo, Umrel nám pan Foerster (Ci è venuto a mancare il signor Foerster). Oltreché promettente e singolare regista, M. si rivela attore di carattere - allampanato, gli occhiali, una faccia lunga e triste - in diversi film di colleghi, come in Strop (Il soffitto, 1963) di Vera Chytilová, in Kazdy den odvahu (Il coraggio quotidiano, 1964) di Evald Schorm. Tocca anche a lui, nel 1965, un episodio del film collettivo Perlicky na dne (Perline sul fondo), che la critica considera il manifesto della nová vlna. Un altro episodio di film collettivo lo gira nello stesso anno, realizzando un piccolo 'giallo' - Zlocin v divci skolé (Delitto nella scuola femminile) - che mette in luce certe sue caratteristiche, come l'attenzione sorridente (ma intensa) alle faccende del sesso. Nel 1966 è la volta del primo lungometraggio, Ostre sledované vlaky (Treni strettamente sorvegliati), che ottiene il primo premio al festival di Mannheim e l'Oscar per il miglior film straniero. E' una storia di guerra che ha come tema la virilità, vissuta come conquista e sfida: il ragazzo che, superando timori e fallimenti, ha finalmente la prova di essere un uomo grazie alla sapiente collaborazione di un'attricetta, se ne infatua a tal punto che decide di compiere una grande - e davvero virile - impresa, quella di far saltare un treno tedesco (ci riesce, e muore). L'anno successivo, un altro film da premio (stavolta il primo premio di Karlovy Vary): Rozmarné letó (Un'estate capricciosa, 1967), che raccoglie in precaria unità una serie di storielle dall'andamento quasi felliniano, in una cittadina termale, con personaggi bislacchi e insoddisfatti (tre uomini maturi che non hanno concluso nulla nella vita, una donnetta, una coppia di stranieri) e un tono fra il desolato e l'ironico (la fissazione del sesso sempre presente, e canzonata acutamente) che precisa lo stile del regista. Mentre sviluppa una buona attività di regista teatrale, M. si serve del cinema per mettere in piedi macchine narrative di qualità, come il successivo giallo tratto da una idea di Josef Skvorecky, Zlocin u santánu (Delitto in un night, 1968) e la commedia Skrivánci na niti (Le allodole sul filo, 1969) che, in delicati impasti cromatici, narra i casi di operai nella città di Kladno all'epoca dello stalinismo, con ciò sfiorando i temi politici e suscitando dure reazioni nel potere. I carri armati del Patto di Varsavia sono già entrati a Praga, alcuni colleghi di M. sono emigrati, altri sono rimasti (come V. Chytilová) e subiscono la reazione del cinema 'normalizzato'. M., se vuol continuare a lavorare deve, in un certo senso, rinnegare ciò che ha fatto e accettare i temi 'sociali' che gli propongono. Lo fa, anche se rifiuta di restituire l'Oscar ricevuto per Ostre sledované vlaky. Anzi, eccede in zelo, significativamente. Con Kda hledá zlaté dno (Chi cerca il bottone d'oro, 1975) canta la gioia del lavoro, in una storia di muratori che costruiscono una diga. Poi, divaga, come in Na samote u lesa (La solitudine accanto alla foresta, 1977) o in Bajecni muzi s klikou (I maghi dello schermo verde, 1979). O, magari, allude agli antichi temi, stravolgendoli in una sfrenata fantasia visiva, per Postriny (Montaggio stretto), dove il sesso è presentato come gioia.

ma Freud è sbertucciato. M. riprende anche a recitare con la sua aria svagata e sofferente, ponendosi al servizio di chi abbia bisogno di caratterizzazioni ironiche o grottesche. Non può fare altro, ma tutto quello che può lo fa con una specie di (evidente, irridente) rabbia interiore. A lui la realtà ha sempre interessato, purché interpretata e analizzata nel profondo, attraverso i filtri della letteratura e di tecniche narrative frantumate e divaganti (come quelle che gli offriva il suo abituale sceneggiatore Bohumil Hrabal e gli proponeva uno scrittore fine come Skvorecky). Riprende il lavoro verso la metà degli anni '80, con Slavnosti snezenék (La festa dei bucaneve, 1984) e con Vesnicko ma strediscova (Mio caro villaggetto, 1987): il secondo ottiene successo all'estero, presentandosi come una sorridente commedia intorno al tradizionale scemo del villaggio. La carriera di M. ora può svilupparsi regolarmente, dopo le difficoltà politiche che l'avevano prima bloccata e poi (grazie alla acquiescenza del regista) ostacolata e distorta. Si dedica al teatro. Il clima cambia, e M. gira Konec starych casu (Fine del buon tempo andato, 1989) e, due anni dopo, Zabracka opera (L'opera del mendicante, 1991). Una coproduzione internazionale cui partecipano la nuova Repubblica ceca, la Gran Bretagna, la Russia, la Francia e l'Italia permette al regista di allestire una pungente commedia sulle lamentevole storture e gli orrori mentali che regnavano nelle stanze (e nei campi) del socialismo realizzato. The Life and Extraordinary Adventures of Private Ivan Chonkin (Il soldato molto semplice Ivan Chonkin, 1994) narra di un soldatino - siamo nel 1941 in Ucrania - mandato a montar la guardia a un aereo finito presso un villaggio, e lì piantato sino a quando un nutrito drappello di poliziotti non interviene, pensandolo un bieco sabotatore. Lucido e feroce, M. mette alla berlina la burocrazia e l'ottusità del potere socialista, e mette alla berlina il se stesso che, non molti anni prima, vi si era dovuto piegare. Ivan Chonkin è il simbolo della purificazione.


Scheda tratta da F. Di Giammatteo, Nuovo dizionario universale del cinema. Gli autori, Roma, Editori riuniti, 1996