CIRCOLO DEL CINEMA DI BELLINZONA

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Karel Reisz

(Ostrava, Cecoslovacchia 1926). Regista. La sua famiglia lascia la Cecoslovacchia sotto la minaccia dell'invasione nazista e si trasferisce a Londra. R. - che ha allora 12 anni - studia a Reading. Più tardi si iscrive a chimica, all'università di Cambridge. Durante la guerra è nella RAF. Tornato a casa, insegna e, intanto, scrive di cinema su 'Sequence' e su 'Sight and Sound'. Diventa programmatore del National Film Theatre, si occupa di montaggio e, nel 1953, pubblica 'The Technique of Film Editing', un testo fondamentale (ristampato nel 1968, con una integrazione di Gavin Miller). Frequentando colleghi e amici come Lindsay Anderson, Jack Clayton, John Schlesinger, si trova al centro del movimento che prenderà il nome di free cinema. Il suo esordio di regista (in collaborazione con Tony Richardson) avviene nel campo del documentario sociale, con la descrizione delle squallide condizioni di vita del proletariato urbano: nel 1956 gira Momma Don't Allow (Mamma non vuole) Tre anni dopo, lavorando con il migliore operatore del gruppo, quel Walter Lassally che avrebbe firmato le riprese dei film di Richardson, compone un documentario-inchiesta sulla gioventù della periferia londinese che si raccoglie in un noto ritrovo: We Are the Lambeth Boys (Siamo i ragazzi di Lambeth, 1959), un'ora di pungenti osservazioni. L'esordio nella finzione è dell'anno successivo, la riduzione di un romanzo di Alan Sillitoe che, partendo con il tono del distacco oggettivo, diventa l'aspro ritratto (ironico ma senza concessioni ideologiche) di una condizione operaia degradata: Saturday Night and Sunday Morning (Sabato sera, domenica mattina, 1960), con Albert Finney nei panni di un operaio che si divide fra l'amante sposata e una ragazza innamorata, nelle vie e nelle case di Nottingham. R. non si accontenta della sua abilità di osservatore di realtà sociali e tenta di forzare i toni con il ritratto di un inquietante assassino, uno psicopatico cui Finney dà credibilità, in The Night Must Fall (La doppia vita di Dan Craig, 1964). Negli anni in cui il movimento del free cinema si sfalda, precipitando (come accade a L. Anderson) in una impotenza rabbiosa e tutta di testa, R. è ancora alla ricerca di se stesso, e, dopo il thriller di qualità, punta le sue carte sulla satira politica (o pseudopolitica) di Morgan, a Suitable Case for Treatment (Morgan matto da legare, 1966), una specie di comico invito alla distruzione e alla follia, visto che sembra impossibile combattere contro il levigato, implacabile e anche divertente ordine borghese. Poco inglese nel tema, e abbastanza inglese nel tono (con qualche eccesso parodistico e parossistico, alla Lindsay Anderson), il film è - ancora - il ritratto di un giovane disadattato, cui altro non rimane, dopo averle tentate tutte, che arrendersi alla psichiatria (magari democratica). Il risultato è splendido, ma non offre prospettive al regista, costretto a cercare altre strade per proseguire la carriera. Comincia con Isadora (id., 1968), in cui Vanessa Redgrave interpreta la mitica ballerina Isadora Duncan, amante e artista dissipata; prosegue ispirandosi al 'Giocatore' di Dostoevskij ed estraendone un (altro) ritratto di uomo infelice per The Gambler (40.000 dollari per non morire, 1974), con un James Caan un poco troppo immerso in angosce psicoanalitiche; giunge a una esposizione di persecuzioni, gangsterismo violenze e postumi della guerra del Vietnam in un'affannata storia fra montagne e pianure, in un'America desolata, con Who'll Stop the Rain (I guerrieri dell'inferno, 1973). Quel che a poco a poco emerge è una tendenza alla commozione che R. non controlla sempre con fermezza e a cui darà libero sfogo nel suo film di maggior successo, The French Lieutenant's Woman (La donna del tenente francese, 1981), storia di un uomo e di una donna che sono - insieme - due attori e i personaggi del film che interpretano (una tormentata storia d'amore nell'Ottocento). Il dolore, il coraggio (della donna, ieri e oggi: contro i pregiudizi nel film, contro i ricatti sentimentali nella vita), l'incertezza, l'indifferenza e, infine, una sottile abilità nel contrapporre realtà e finzione. cinema e riflessione sul cinema, sono le qualità emergenti da un film che scivola troppo spesso nel patetico, per virtù (o difetto) di una sensibile Meryl Streep: a indubbio merito del regista va ascritto il trattamento del colore, che non nasconde (nelle sequenze della finzione cinematografica, in esterni ariosi e in interni fortemente contrastati) le sue origini e i suoi modelli nella pittura dell'Ottocento inglese. Il resto è ordinaria amministrazione. Nel 1986 racconta la vita della cantante Patsy Cline (Jessica Lange) morta in un incidente aereo, con un film accurato ed elegante, Sweet Dreams (id.). Nel 1990 imbastisce un giallo - Everybody Wins (Alla ricerca dell'assassino) - ricavato da un dramma di Arthur Miller e interpretato da Debra Winger e Nick Nolte: nulla da spartire con le inquietudini del dimenticato free cinema. R. lavora parecchio per la televisione e per la pubblicità. Ha sposato in seconde nozze Betsy Blair.


Scheda tratta da F. Di Giammatteo, Nuovo dizionario universale del cinema. Gli autori, Roma, Editori riuniti, 1996