CIRCOLO DEL CINEMA DI BELLINZONA

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La Nouvelle Vague francese

Les quatre-cents coups, 1959
(I quattrocento colpi), 1959

di François Truffaut

sceneggiatura. F. Truffaut e Marcel Moussy; fotografia: Henri Decaë; scenografia: Bernard Evein; musica: Jean Constantin; monraggio: Marie-Josèphe Yoyotte; interpreti: Jean-Pierre Léaud (Antoine Doinel), Albert Rémy (il signor Doinel), Claire Maurier (la signora Doinel), Patrick Auffay (René Bigey), Georges Flamant (il signor Bigey), Yvonne Claudie (la signora Bigey), Robert Beauvais (il direttore della scuola), Pierre Repp (il professore d'inglese), Claude Mansard (il giudice), Jacques Monod (il commissario); produzione: Les Films du Carrosse; origine: Francia; durata: 101'.

Antoine Doinei vive con i genitori, che non lo capiscono e lo trascurano, in un piccolissimo appartamento di Parigi. Ogni gesto o azione di Antoine è evidentemente una protesta e una difesa dal mondo ostile che lo circonda. Anche a scuola Antoine si trova male ed ha un compagno per i suoi piccoli misfatti, René. Un giorno Antoine inventa la morte della madre per giustificare una assenza da scuola ma viene scoperto e fugge di casa. Ritrovato, il ragazzo riceve dai genitori dimostrazioni di affetto e disponibilità che lo inducono a promettere di essere bravo e buono. Ma a scuola un professore lo accusa di aver copiato il tema e Antoine fugge di nuovo a casa di René. I due rubano una macchina da scrivere dall'ufficio del padre di Antoine. Non riuscendo a rivenderla, saranno scoperti proprio quando la riportano nell'ufficio. Antoine è arrestato e affidato a un riformatorio ma durante una partita di pallone scappa e, come aveva sempre sognato, arriva al mare che non aveva mai visto. Per un attimo è felice; decide poi di tornare al suo inevitabile destino.

E' uno dei film più importanti del cinema inglese: un'opera da cui discendono, per filiazioni e parentele più o meno strette, Schlesinger, Loach, Skolimowsky. Nasce da una stretta collaborazione, solo in parte documentata dai credits, fra molti degli uomini della generazione compresa tra gli angry men e il free cinema. Romanzo e sceneggiatura sono di Sillitoe, il personaggio carismatico è Albert Finney, la fotografia del collaudato Freddie Francis. Quanto a Reisz - di origine cecoslovacca e formatosi insieme a Tony Richardson (che allora metteva in scena le commedie di Osborne) - è al suo debutto nella regia di finzione. Condotta sui toni della commedia brillante, la vicenda è in realtà un aspro sguardo, in cui la polemica sociale è la nota di fondo, su una superficie d'analisi psicologica che mette in mostra un personaggio a tutto tondo: l'uomo insoddisfatto in un ambiente costrittivo, vuoto di interessi. L'occhio del regista è acuto e fermo, e contiene un implicito giudizio in una doppia direzione (individuale e sociale): la vita della provincia, l'abulia, la chiusura mentale, la precarietà sono direttamente sotto accusa.