(Bologna 1922 - Ostia, Roma 1975). Regista. L'infanzia e la prima giovinezza, trascorse fra la nativa Bologna e la materna Casarsa, sono segnate da eventi traumatici: i rapporti difficili col padre (ufficiale che cambia spesso di guarnigione), l'attaccamento fortissimo alla madre, la morte del fratello, partigiano 'bianco' fucilato da partigiani comunisti. Questa tragedia non gli impedisce di aderire al PCI, cui rimarrà solidale nonostante un nuovo crudele episodio: l'espulsione dal partito come omosessuale. E' la conseguenza di un processo - il primo - a cui viene sottoposto per la sua 'diversità'. Privato per la medesima ragione del lavoro di insegnante, nel '50 è costretto a trasferirsi con la madre dal Friuli a Roma. Qui inizia a lavorare come sceneggiatore (soprattutto per Mauro Bolognini), attività che gli consente di far fronte alle difficoltà economiche e di dedicarsi contemporaneamente alla letteratura e alla poesia. Cinema e scrittura rimarranno in lui strettamente complementari: i romanzi e le poesie già contengono elementi 'cinematografici', le sceneggiature dei suoi film riveleranno spesso una autonoma validità letteraria. Privo di cognizioni tecniche, ma sorretto da una lunga preparazione interiore, esordisce nella regia con Accattone (1961). Trasferisce così sullo schermo quello che era già apparso il motivo dominante della sua produzione letteraria: la 'sympathia' ideologica, erotica e religiosa per il sottoproletariato romano. Reietto e colpevolizzato lui stesso come 'diverso', si sente solidale con questo mondo di diseredati, dimenticati da ogni chiesa e partito. Ne ammira l'inconsapevole grazia, la feroce innocenza, il pagano cattolicesimo: valori culturali sopravvissuti alla miseria materiale e morale, ma destinati a soccombere - come testimonia il successivo Mamma Roma (1962) - al 'benessere' piccolo-borghese. La visione epico-religiosa di P., la sua predilezione per le parabole, il suo cattolicesimo 'eretico', trovano ispirazione nel tema della Passione per i due film successivi: La ricotta (episodio di RoGoPag, 1963) ed Il Vangelo secondo Matteo (1964) (film religioso). In quest'ultimo, raffigura un Cristo polemico e combattivo che risente dei fermenti innovatori dell'epoca conciliare e giovannea, ma che rispecchia innanzitutto la sua stessa vocazione allo 'scandalo'. Essere intellettuale - ossia portatore di 'sapienza' - significa per lui un impegno civile e morale da adempiere con coraggio e senza illusioni; sulla crisi di questo ruolo, rifiette nel successivo Uccellacci e uccellini (1966), un film amarissimo, eppure sorridente: grazie al suo spirito pedagogico, P. riesce ad adattare una concezione essenzialmente tragica della realtà anche al tono dell'apologo e della fiaba. In queste forme si esprime nuovamente in La terra vista dalla Luna (episodio di Le streghe 1967), in Che cosa sono le nuvole (episodio di Capriccio all'italiana, 1968) e in La sequenza del fiore di carta (episodio di Amore e rabbia, 1969). Negli anni della contestazione, la sua posizione è nuovamente di dissenso: non solo contro il Potere, ma anche contro i suoi apparenti oppositori, che celebrano l'avvento delle . P. esprime la sua peculiare visione della crisi e del trasformismo della borghesia in due complesse metafore: Teorema (1968) e Porcile (1969). Nei fatti di quegli anni riconosce l'avvento di un nuovo corso del Potere, che vuole l'omologazione dell'intero tessuto sociale al modello piccolo-borghese: scompare così la civiltà dell'ltalia precapitalistica e contadina, di cui sopravvivono ormai degli effimeri equivalenti solo nei paesi del Terzo Mondo. In queste proiezioni del suburbio romano, P. ambienta i classici della letteratura greca e medioevale: vi fa rivivere sia l'arcaico sentimento del tragico - Edipo re (1967), Medea (1970) -, sia la gioia liberatrice dell'eros - Il Decameròn (1971), I racconti di Canterbury (1972), ll fiore delle mille e una notte (1974). Con questa , dà la sua adesione alla lotta per la liberazione sessuale, ma al tempo slesso la rinnega, poiché vede attualmente sostituita all'antica 'tolleranza' popolare in materia di sesso, una pseudo-libertà consumistica, sostanzialmente repressiva. Il mondo che amava, ormai omologato al modello imposto dalla borghesia, gli si rivela mostruosamente degenerato. Abiurata la Trilogia, dà uno spietato ritratto di questo 'genocidio' in Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975). Le sue conclusioni si sono fatte disperate: scrive Errore. Il segnalibro non è definito.. Ma, al tempo stesso, le sue posizioni sono diventate sempre più scomode e polemiche: attacca il 'Palazzo', chiama alla corresponsabilità intellettuali e politici, critica il 'conformismo di sinistra', si fa un gran numero di nemici. Tutte testimonianze di quella inquieta, febbrile volontà di intervento che ben riassume la personalità artistica e intellettuale di P. Il suo rapporto con il cinema (non meno di quello con la poesia) si nutre spesso di dichiarazioni programmatiche e s'arricchisce sempre (nell'ostentata contaminazione di forme diverse di espressione) di note a margine, glosse, rilievi critici e teorici. Geniale assimilatore P. ha sempre rivolto una notevole attenzione agli aspetti tecnici creando un linguaggio cinematografico che, anche laddove confessa il debito verso molti modelli (Chaplin, Rossellini e il neorealismo, Godard e la nouvelle vague, Mizoguchi ecc.) riesce ad essere originale, provocatorio, stilisticamente riconoscibile. E stilistica è stata infatti una delle sue maggiori preoccupazioni tanto da condurlo sul piano teorico a formulare un'ipotesi 'linguistica' e 'prosodica' di , vale a dire di un cinema necessariamente formalistico che fa i conti con la specificità del suo linguaggio e dei suoi codici espressivi e fa sentire, attraverso l'uso della , la presenza 'autorevole' della m.d.p. (alternanza di obiettivi diversi su uno stesso oggetto, controluce fintamente casuali, movimenti di macchina a mano, carrelli esasperati, ecc.). A questo cinema (di cui P. parla in 'Empirismo eretico') appartiene certamente l'opera del regista friulano. P. ha dimostrato peraltro di essere un eccezionale poeta della fisicità: i suoi volti, presi dalla strada secondo la tradizione neorealista, scelti fra le schiere dei suoi amici letterati (Paolo Volponi, Elsa Morante, Francesco Leonetti che presta la sua querula voce al corvo di Uccellacci e uccellini, ecc.) e fra i parenti (la madre Susanna come madre di Cristo in Il Vangelo secondo Matteo, Graziella Chiarcossi ecc.) rientrano tutti nel suo orizzonte pittorico - mai teatrale -, nella dimensione - spesso prepotentemente soggettiva e, altrettanto spesso, miracolosamente suggestiva - dell'immagine visiva, anche quando appartengono ad attori professionisti come Silvana Mangano, Anna Magnani (che, non a caso, si sentì 'usata' e non protagonista in Mamma Roma), Maria Callas, Totò. Del resto è proprio alla pittura (i maestri italiani del realismo umanista e manierista, da Giotto a Masaccio, a Pontormo) che P. - allievo di Roberto Longhi - si è ispirato citando o ricreando atmosfere del passato o interpolando mito e storia. Da qui la sua preoccupazione per la luce e la fotografia e la collaborazione con operatori come Tonino Delli Colli e Giuseppe Ruzzolini: nella raccolta 'Poesia in forma di rosa' ne troviamo un suggestivo accenno: . Fin dal '49, lui e la sua opera sono stati oggetto di 33 processi e di una ininterrotta persecuzione. In questa luce, la sua uccisione a Ostia, schiacciato dalla sua automobile - al di là delle circostanze contingenti, peraltro mai chiarite - assume il significato di una sentenza. Ambientando al tempo della Repubblica sociale gli orrori sessuali - dalle violenze di ogni genere alle torture efferate, e minuziosamente esibite che Sade descrive, P. ha consegnato all'ultimo film la summa della sua ideologia e della sua fantasia, l'impasto di manierismo, religione e dissacrazione che creano il suo carattere di artista (della parola e dell'immagine). La controversia che si sviluppò al momento della morte s'è trascinata con la forza ricorrente dell'ossessione. Si sono succedute testimonianze e dichiarazioni di ogni genere, per chiarire che cosa fosse realmente accaduto nella notte del 2 novembre 1975 a Ostia, e che cosa quella morte brutale nascondesse. Il processo che si celebrò presso il Tribunale dei minori di Roma e che condusse alla condanna di Pino Pelosi, all'epoca del delitto diciassettenne, è stato rievocato con una ricostruzione accurata da Marco Tullio Giordana in Pasolini un delitto italiano (1995) per giungere alla conclusione del complotto ordito per motivi politici (P. aveva chiesto che si processasse la DC). Una tesi opposta, che si rifa al romazo incompiuto e postumo "Petrolio", è sostenuta da Aurelio Grimaldi in Nerolio (1996); vi si afferma che la morte fu cercata e sfidata dal poeta deciso a vivere sino in fondo i rischi della sua sessualità. La Mostra di Venezia accoglie il film di Giordana, rifiuta quello di Grimaldi (che passa al Festival di Locarno).
Scheda tratta da F. Di Giammatteo, Nuovo dizionario universale del cinema. Gli autori, Roma, Editori riuniti, 1996