(Dacca, India 1926 - Calcutta 1976). Regista. G. arriva al cinema dopo una lunga esperienza fatta con l'lndian People's Theatre per il quale scrive, dirige e recita i testi che il teatro mette in scena nei suoi lunghi spostamenti all'interno del paese. La triste esperienza della guerra, che porta alla nascita del Pakistan, provoca nel regista una profonda crisi, e il suo bisogno di sensibilizzare una più vasta opinione pubblica sulla drammatica esistenza del suo popolo gli fa preferire il cinema al teatro. Gira Nagarik (Il cittadino) nel 1952 (ma il film viene terminato solo dopo la morte del regista): è la storia di un giovane in cerca di lavoro; il ragazzo per il suo naturale ottimismo sogna romanticamente una vita migliore, ma alla fine la rivoluzione, sanguinosa o pacifica, è l'unico rimedio ai suoi problemi. Nel 1958 G. realizza Ajantrik (L'uomomacchina): il film racconta le picaresche avventure di Bimal, un giovane autista, e Jagaddal. Jagaddal è uno sgangherato tassì, ridicolo per chi l'osserva o lo guida, ma per Bimal ha un'anima. Ecco perché si guasta quando il giovane si innamora di una ragazza. Si ferma il motore o il cuore? Neanche Bimal lo sa. Il film è presentato alla Mostra di Venezia e la critica lo accoglie come l'opera più interessante del cinema bengali. Negli anni seguenti G. dirige altri film come Meghe Dhaka Tara (La stella coperta dalle nubi, 1961) e Subarnarekha (La linea d'oro, 1962), direttame ispirati alle traversie dei profughi del Bengala Orientale, in seguito alla spartizione col Pakistan. Nel 1961 aveva realizzato Komal Candhar (è il nome di una nota della musica indiana) sulla vita di una troupe teatrale e sui contrasti tra problemi sociali e problemi della messa in scena. Dopo il fiasco di Komal Gandhar, G. insegna al Film Institute di Poona, infiuenzando tutta una generazione di nuovi cineasti che contribuiranno poi a far conoscere la sua opera in patria e all'estero. Ritorna a dirigere nel 1973, con Titash ekti Nadir Naam (Il fiume chiamato Titash, 1973), sul Bangla Desh, e con Jukti, Takko aar Gappo (Ragione, discussione su un racconto, 1974), ma gli ultimi film sono segnati dalla tubercolosi e dall'alcol che lo condurranno a una morte prematura. Fedele al principio che il suo cinema deve , G. si ispira alle drammatiche vicende - storiche e sociali - della sua terra e del suo popolo, in una visione ideologica che tuttavia non dimentica la sperimentazione formale e l'interesse per lo stile. Egli stesso ha dato nel 1967 una definizione della sua opera: ripresa, immagini, ecc. [...] sono le sfumature che cerco, le sfumature elusive, sfuggenti. Esse contengono la scintilla della vita».
Scheda tratta da F. Di Giammatteo, Nuovo dizionario universale del cinema. Gli autori, Roma, Editori riuniti, 1996