CIRCOLO DEL CINEMA DI BELLINZONA

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Vera Chytilová

(Ostrava, Cecoslovacchia 1929). Regista, soggettista e sceneggiatrice. Dopo una attività disordinata, soprattutto nel campo della moda (è stata indossatrice), si accosta al cinema iscrivendosi, trentenne, all'accademia d'arte drammatica di Praga. Durante i corsi gira un cortometraggio Zelená ulice (La strada verde, 1960) e alla fine realizza un mediometraggio che vale come prova di diploma e la rivela al pubblico: Strop (Il soffitto, 1961). E una doppia rivelazione: da una parte adotta la tecnica divagante e provocatoria della nouvelle vague francese e dall'altra dà largo spazio a una autobiografia femminile che appare, in un paese socialista austero come la Cecoslovacchia, un vero e proprio scandalo. Questo film segnerà il destino della C. Dopo un altro mediometraggio che ricorre anche alle tecniche del cinéma-verité di Jean Rouch - Pytel blech (Un sacco di pulci, 1962) - C. realizza la sua prima opera importante, una doppia biografia femminile, che mette a confronto le vite fallite di una campionessa di ginnastica e di una casalinga qualunque: O necem jínem (Qualcosa d'altro, 1963). La provocazione 'politica' (rifiutare i temi sociali, rivelare ciò che si nasconde dietro la facciata del perbenismo socialista, mettere il dito sulla infelicità quotidiana di individui in particolare di donne - che non hanno alcun ideale) finisce per coincidere con i temi portanti del 'comunismo dal volto umano' che si andava profilando all'orizzonte praghese. A ciò la regista aggiunge una nota irridente che si riallaccia alla tradizione più viva della letteratura boema. Dopo aver partecipato al film collettivo Perlicky na dne (Perline sul fondo, 1965), con un episodio intitolato Automat 'Svet' (Snack 'Universo'), raccoglie in quella che può essere considerata la sua opera migliore tutte le insofferenze, le speranze e le provocazioni di una intera generazione: Sedmikrásky (Le margheritine, 1966). Qui viene in luce anche il suo limite più grave, la sperimentazione linguistica e il gioco formale fini a se stessi (a questo contribuisee la presenza del marito operatore Jaroslav Kucera). Con la fine della primavera di Praga, finisce anche l'attività della C. Il cinema non le offre più alcuna occasione e la costringe ad emigrare: il suo film successivo è una coproduzione belga-cecoslovacca, Dvoce stromu rajskych jíme - La fruit du paradis (Mangiamo il frutto proibito, 1970). Dieci anni dopo il grande successo del film dedicato alle due Marie in cerca di libertà, può realizzare in patria Hra o jablko (Il gioco della mela, 1976), una commedia in cui si sentono gli echi del precedente impegno sarcastico e dissacratorio, ma in cui prevalgono anche le tentazioni formalistiche, sempre più complesse e divaganti. C. è stata una esponente di primo piano della nova vlná, in cui ha inserito con grande spregiudicatezza e intelligenza le tematiche femministe. Il clima culturale non favorevole e la successiva repressione politica le hanno impedito di sviluppare le sue qualità. Riprendersi, dopo il crollo del comunismo, in una situazione confusa, non è facile, per un'artista come C., cosi attenta alla forma, cosi raffinata e astrusa quale spesso le accade di essere. Negli anni '80 si segnalano, di lei, Kalamita (La calamita, 1980). Vlci buda (La tana del lupo, 1986), Sasek a Kralovna (Il giullare e la regina, 1988). La propensione per la manipolazione linguistica e figurativa persiste, divenendo ora fine a se stessa più di quanto lo fosse negli anni della contestazione del potere. La coerenza intransigente finisce per ritorcersi contro di lei.


Scheda tratta da F. Di Giammatteo, Nuovo dizionario universale del cinema. Gli autori, Roma, Editori riuniti, 1996