3 settembre – 12 ottobre |
Nel 1989 il film di un regista iraniano allora pressoché sconosciuto in occidente vinceva il Leopardo di bronzo al Festival di Locarno. Si trattava di Dov’è la casa del mio amico? di Abbas Kiarostami.
La scarna nota biografica apparsa sul catalogo diceva che Kiarostami era nato a Teheran nel 1940, si era laureato alla facoltà di Belle Arti, aveva lavorato dapprima come disegnatore di manifesti pubblicitari e aveva iniziato la sua attività di regista nel 1970 realizzando cortometraggi e film presso l’Istituto per lo sviluppo intellettuale dei giovani e degli adolescenti, il Kanun.
Il film premiato a Locarno è il suo terzo lungometraggio di finzione, dopo una lunga serie di interessantissimi cortometraggi e documentari che i cinefili occidentali potranno scoprire solo più tardi, in particolare ancora a Locarno nel 1995, dove sotto la direzione di Marco Müller gli viene dedicata la retrospettiva e gli viene conferito un Leopardo d’onore.
Dov’è la casa del mio amico? è comunque già un capolavoro ed è il trampolino di lancio per l’affermazione internazionale di Kiarostami come uno dei più talentuosi registi della fine del secolo scorso.
Il suo successivo Close-up (1990) trova una larga distribuzione all’estero e diventa un film culto. Due anni dopo E la vita continua viene presentato al Festival di Cannes, dove nel 1997 Il sapore della ciliegia viene giustamente incoronato con la Palma d’oro.
E nel 1999 la Mostra di Venezia gli attribuisce il Premio speciale della giuria per Il vento ci porterà via, che costituisce in un certo senso la summa di tutta la sua opera. Kiarostami si è sempre rifiutato di lasciare il suo paese, dove ha proseguito con estrema coerenza la sua attività di cineasta, di fotografo e di poeta anche dopo la rivoluzione del 1979, quando ha dovuto subire gli interventi censori degli ayatollah della Repubblica islamica, che non vedevano certo di buon occhio la sua libertà espressiva. Solo alla fine della carriera (Kiarostami è morto nel 2016) sarà costretto a girare all’estero due dei suoi grandi film, Copia conforme (2010, in Italia) e Like Someone in Love (2012, in Giappone). Artista eclettico, agli albori del nuovo millennio preferirà girare in digitale, modalità leggera più consona alla sua natura individualistica, proseguirà ad esplorare territori ai confini della finzione (di cui l’ultimo film di questa rassegna, Shirin, è un esempio significativo) e continuerà ad alternare al cinema la sua ricerca nel campo della fotografia e della parola poetica (si vedano a questo proposito le due raccolte di poesie tradotte in italiano: Con il vento, Il Castoro, 2001; e Un lupo in agguato, Einaudi, 2003). I sei film di Kiarostami che proponiamo in questa rassegna non sono certo sufficienti ad esplorare tutte le innumerevoli sfaccettature dell’opera di questo grande poeta dell’immagine, che ha saputo ogni volta riflettere sul senso profondo del rapporto tra finzione e realtà, ma sono senza dubbio fra le cose migliori che ha realizzato nel corso della sua carriera. Per chi non li avesse mai visti saranno una sorprendente rivelazione, per chi già li conoscesse un’occasione per rigustarne la sensibilità e l’intelligenza. I film vengono presentati in tutte e tre le località in ordine cronologico. Un consiglio: evitate di andare a vedere il secondo senza aver visto il primo, e il terzo senza aver visto i primi due, poiché i tre film, che costituiscono la cosiddetta “trilogia di Koker” (dal nome del villaggio dove è ambientato il primo), sono intimamente interconnessi, come viene chiarito dalle schede qui sotto. E ci piace concludere questa breve introduzione con un’acuta osservazione di Jean-Philippe Tessé, che volentieri rivolgiamo agli spettatori: “Le ultime inquadrature dei film di Kiarostami sono indimenticabili, sono le più belle inquadrature della storia del cinema; a lui riuscivano come a nessuno, come a un mago che ogni volta fa il suo numero e ogni volta incanta il pubblico sbalordito […] Le ultime inquadrature dei film del cineasta iraniano sono dei miracoli, non chiudono nulla, ma al contrario aprono su delle immensità” (“Cahiers du cinéma”, 725, settembre 2016). Michele Dell’Ambrogio Circolo del cinema Bellinzona |
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