Circolo del cinema di Bellinzona
casella postale 1202
CH6500 Bellinzona
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Powell & Pressburger
stravaganza e bellezza nel cinema inglese degli anni quaranta
gennaio - maRzo 2010 In collaborazione con Lab 80, Bergamo
Presentazione
Powell e Pressburger vite parallele
Powell e Pressburger: un regista visionario e uno scrittore capace di tener dietro, in sceneggiatura, alle esigenze fantastiche del primo. Sarebbe tutto più semplice se la collaborazione ventennale dei due fosse nettamente definibile in questi termini, se il loro fosse uno di quei casi di grande sintonia tra parola e immagine che si verificano talvolta nel cinema, e spesso nel cinema britannico (per esempio, Carol Reed e Graham Greene, o Joseph Losey e Harold Pinter). In realtà, il rapporto tra Michael Powell ed Emeric Pressburger è più complesso, più dichiaratamente complesso, anche se le mansioni preminenti restano, rispettivamente, quelle della regia e della sceneggiatura.
Quando nel 1943, in The Life and Death of Colonel Blimp, adottano per i titoli di testa la formula “Scritto, prodotto e diretto da Michael Powell e Emeric Pressburger”, affermano esplicitamente la centralità del lavoro dello sceneggiatore, annullando contemporaneamente le barriere che segmentano il lavoro creativo. Ricorda Powell: “Decidemmo un ordine dei titoli di testa secondo quella che era per noi l’importanza: scrittore, produttore e poi regista. Non erano in molti a pensarla così. Personalmente, mi aveva sempre irritato la maniera in cui sono trattati nel cinema gli scrittori. Ma la nostra decisione nacque spontaneamente e quasi tacitamente”. La formula, assolutamente unica nella storia del cinema, dura tredici anni (fino al ritiro dal cinema, nel 1966, di Pressburger) e quattordici film, che rappresentano il culmine della poetica del “regista” Michael Powell (con una sola eccezione: quella dello straordinario e famigerato Peeping Tom, che nel 1960 sconvolge l’opinione pubblica e la critica inglesi, per il quale però Powell ha costituito un nuovo binomio, purtroppo occasionale, con uno sceneggiatore stravagante, Leo Marks).
I compiti sono definiti con chiarezza per tutto il tempo della collaborazione. Pressburger è il narratore (…), senza reali ambizioni di regia (dirige da solo un unico film, Twice Upon a Time, nel 1953), con tutta la scontrosa riservatezza dello scrittore puro. Figura tondeggiante, sempre lievemente in secondo piano nelle fotografie che li ritraggono insieme, non ha il divismo spontaneo di Powell: non chiacchiera, non rilascia, per quanto possibile, interviste, non tratta con finanziatori e produttori (a parte il connazionale Alexander Korda), non ama raccontare il suo lavoro e, men che meno, scendere a patti sulle storie che ha pensato e costruito. (…) Dotato di senso dell’umorismo e del paradosso (di tipica marca mitteleuropea), il sornione Pressburger completa Powell non solo con il professionalismo acquisito in anni di lavoro per il cinema tedesco e francese, ma anche con la cauta curiosità della sua percezione da fresco immigrato della cultura e della società britanniche. Scopre il nuovo e l’insolito (e lo sottolinea senza pudori) in un universo che per il “nativo” rischia di essere ovvio o rimosso. In pratica, Pressburger, con la silenziosa tenacia dell’esule che vuole essere accettato ma non travolto dalla cultura che lo ospita, aiuta Powell a mantenere vive quelle suggestioni bizzarre e devianti che rappresentano uno degli elementi di fascino della cultura britannica, ma che sono tradizionalmente bandite dalla rigida educazione e dall’establishment. (…)
Pressburger, l’ungherese fantasioso che si era abituato nel suo paese e in Germania a scrivere le sceneggiature non in forma di scene e di dialoghi ma come complicati racconti per metafore e immagini, è il contraltare ideale con cui il regista Powell confronta la propria stravaganza percettiva. Sostanzialmente disinteressato a qualsiasi utilizzazione “civile” del cinema (e, quindi, all’impianto realistico o teatrale), Powell affronta il suo lavoro con lo stesso entusiasmo affascinato con il quale, da piccolo, soggiaceva alle fantasie cinematografiche altrui. (…) Aiutato dalla sua naturale propensione all’affabulazione, Powell sviluppa e coltiva una personalità piuttosto anomala nel suo paese: da un lato, si propone come autore, senza per questo enfatizzare la dimensione sociale del cinema (e questo, in pieno documentarismo prima e nel bel mezzo dello sforzo bellico poi); dall’altro, sottolinea sempre l’aspetto tecnico del mestiere di regista. (…) La tecnica serve per dar corpo ai sogni e l’autorialità passa attraverso essa. Strumento indispensabile della regia, la tecnica racchiude in se stessa il diabolico e il logico, concretizza l’astrazione più folle. (…)
Molto amati da Korda (che era abbastanza eccentrico da apprezzare e ricercare nei suoi autori doti di stravaganza e affabulazione), trascurati, liquidati con sufficienza o apertamente osteggiati dai critici, seguiti con notevole entusiasmo dal pubblico della loro epoca, Powell e Pressburger, deviando con decisione dalle traiettorie dominanti, hanno creato il nucleo autoriale più coerente e duraturo della storia del cinema britannico, l’unico in grado di competere con quello dei grandi maestri europei e americani sul piano delle suggestioni visive e tematiche e della ricchezza stilistica. Miravano a un cinema “totale”, sintesi di tutte le arti e di tutte le tecniche, in armonica sintonia con l’universo psichico del pubblico. (…) “Io non sono un regista con uno stile personale”, ha detto Powell. “Io sono il cinema. Sono cresciuto con e attraverso il cinema; tutto quello che ho imparato l’ho imparato dal cinema; se mi sono interessato alla pittura, alla letteratura, alla musica, è stato grazie al cinema. Così, quando faccio un film come Peeping Tom, io sono il cinema. E solo qualcuno come me può fare Peeping Tom, perché è necessario identificarsi di più con il cinema che con un mondo personale”.
(da Emanuela Martini, Powell & Pressburger, Firenze, La Nuova Italia, 1988)
Questo omaggio a Powell & Pressburger rientra nella tradizione dei cineclub ticinesi di allestire, all’inizio di ogni nuovo anno, una vetrina su momenti importanti della storia del cinema, che affianchi e completi le annuali rassegne a scadenza mensile (come in questa stagione quella dedicata a Fritz Lang). In passato è stata la volta della Commedia sofisticata degli anni ’30 e ’40 ((2005), de Lo specchio scuro (il noir classico hollywoodiano), di Billy Wilder (2008) e di Ernst Lubitsch (2009). Tutte queste rassegne sono state possibili grazie alla collaborazione con la Lab 80 di Bergamo, che ci ha fornito molte pellicole ormai difficilmente reperibili sul mercato. Anche quest’anno sette film su otto vengono da Bergamo: oltre che ringraziare gli amici della Lab 80, non possiamo che elogiare il lavoro di questo manipolo di autentici cinefili che (forse gli unici in Italia) si dedicano alla diffusione del cinema di qualità attraverso copie in 35mm in versione originale con sottotitoli.
Finora ci si era mossi nell’immenso bacino del cinema classico hollywoodiano, la fabbrica dei sogni. Questa volta il nostro viaggio ci porta nella Gran Bretagna degli anni della guerra e di quelli immediatamente successivi. Magari non tutti conoscono il cinema di questi due geniali creatori di storie ed è anche possibile che alcuni dei nostri abituali spettatori non li abbiano nemmeno mai sentiti nominare. La cosa non deve sorprendere, sia perché Hollywood ha ormai da lungo tempo monopolizzato la costruzione dell’immaginario cinematografico collettivo (e l’Europa vi concorre in parte solo con le glorie del passato ottenute dal cinema di pochi paesi: la Germania dell’espressionismo, la Francia del realismo poetico, l’Italia del neorealismo, l’Unione sovietica del cinema rivoluzionario) sia perché i film di Powell & Pressburger sono stati per decenni considerati dalla critica come opere non degne di particolare attenzione, nel migliore dei casi come prodotti tecnicamente brillanti ma privi di impronta autoriale, o come spettacoli divertenti ma adatti solo per un pubblico poco raffinato. La riscoperta e la rilettura dell’opera dei due cineasti avviene solo a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, dopo l’interesse e le polemiche suscitati da quel film conturbante che è Peeping Tom (1960), realizzato dal solo Powell quando il sodalizio tra i due era ormai finito da tempo. Solo nel 1971 il National Film Theatre di Londra renderà omaggio alla loro opera con un’importante retrospettiva, che sarà seguita da molte altre in altri paesi d’Europa, fra le quali è giusto ricordare quella del Festival di Locarno nel 1982. Alla sacrosanta rivalutazione dell’opera dei due contribuì poi non poco l’appassionato interesse dimostrato nei loro confronti, a partire dagli anni ’80, da cineasti come Martin Scorsese, Brian De Palma e Francis Ford Coppola (Powell alla fine della sua carriera lavorerà anche agli Zoetrope Studios di quest’ultimo, prima del loro fallimento): Scorsesee Coppola si impegneranno personalmente nel restauro e nella diffusione dei loro film anche negli Stati Uniti, perché convinti ed ammaliati dal loro modo di intendere “la conoscenza come diretta conseguenza della visione e della visionarietà” (1). Quindi, buona visione e buona conoscenza a tutti!
Michele Dell’Ambrogio, Circolo del cinema Bellinzona
(1) Stefano Della Casa, Cinema inglese del dopoguerra, in Storia del cinema mondiale, III*, Torino, Einaudi, 2000
Schede
THE LIFE AND DEATH OF COLONEL BLIMP
Schede tratte da:
•Il Mereghetti. Dizionario dei film 2008, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2007
con integrazioni per i dati tecnici da
•Powell & Pressburger, Textes et iconographie réunis par Roland Cosandey, Locarno, Éditions du Festival, 1982
•Emanuela Martini, Powell & Pressburger, Firenze, La Nuova Italia 1989
•Fernaldo Di Giammatteo, Nuovo dizionario universale del cinema. I film, Roma, Editori Riuniti, 1994.