novembre – dicembre 2018 |
Argentina Lucrecia Martel Argentina / Brasile / Spagna / Repubblica dominicana / Francia / Olanda / Messico / Svizzera / Usa / Portogallo / Libano 2017 Sceneggiatura: Lucrecia Martel, dal romanzo di Antonio Di Benedetto (1956); fotografia: Rui Poças; montaggio: Karen Harley, Miguel Schwerdfinger; interpreti: Daniel Giménez Cacho, Cola Dueñas, Matheus Nachtergaele, Juan Minujín, Nahuel Cano, Mariana Nunes…; produzione: Vãnia Catani, Matias Roveda, Santiago Gallelli, Benjamin Doménec per Rei Cine (AR) / Bananeira Filmes (BR) / Perdomo Productions (DO), ecc. Colore, v.o. spagnolo, st. it, 115’ Il protagonista, don Diego de Zama, funzionario della corona spagnola relegato ad Asunción alla fine del XVIII secolo, lontano dalla famiglia e in attesa della lettera che lo riporterebbe a Buenos Aires, (…) è surclassato dal mondo che dovrebbe governare: gli oggetti ingombrano il suo passaggio, l’umidità lo fiacca, i ministri lo ignorano, le donne lo stuzzicano, gli animali lo sorpassano indifferenti. È un “guardone” delle vite altrui (“Mirón”, guardone, gli urlano alcune bagnanti nella prima scena), un hombre sin cabeza. A contare, però, non è tanto il destino di questa figura minore quanto l’effetto dello spazio su di essa; la realtà che ne mozza la testa e l’animo. Zama sembrava fatto apposta per diventare il perfetto film malato. Dopo anni di assenza, Lucrecia Martel tornava al cinema con un progetto rischioso e a lungo rimandato, mastodontico nel budget e nelle intenzioni. Un film in costume, adattamento di un classico della letteratura argentina scritto da Antonio Di Benedetto nel 1956, coprodotto da vari paesi, con una lavorazione travagliata e il rischio di cavar fuori un polpettone per il mercato internazionale. Per fortuna, no. Per fortuna Zama è il capolavoro di Martel, la tragedia di un uomo ridicolo messa in scena come una fantasmagoria da teatro dell’assurdo. (Roberto Manassero, in “Cineforum”, 568, ottobre 2017) |
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