|
|||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
PRESENTAZIONE | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Il cinema è il grande amore della mia vita. Ma il cinema è stato tradito da coloro che si preoccupano soltanto di quanti soldi fa un film. È diventato molto più importante fare soldi con i film che fare film che facciano soldi. Ogni buon film farà soldi, ma da quando gli interessi commerciali hanno avuto la preminenza, i profitti sono andati in discesa. Un produttore potrebbe essere un buon amico per un regista, ma quanti produttori veri ho incontrato nella mia vita? Quattro o cinque, non di più. Il primo regalo importante di cui siamo debitori al cinema è la riscoperta del volto umano che, mai prima d'ora, ci era stato rivelato così chiaramente nelle sue espressioni tragiche, grottesche, minacciose o spirituali. Il secondo regalo è di averci offerto delle intuizioni in immagini, nel senso delle rappresentazioni espressioniste del processo mentale. Al cinema, non partecipiamo più soltanto della manifestazione esteriore di ciò che si svolge nell'animo umano, né scorgiamo unicamente gli effetti dei sentimenti, ma li viviamo psicologicamente fin dal momento della loro comparsa, dal primo fremito del pensiero alla conseguenza logica dell'idea. Quando faccio un film d'attualità - specialmente se si tratta di uno di quei film che di solito vengono chiamati “crimes pictures” - dico sempre al mio operatore: “Non voglio una fotografia elaborata - niente di “artistico” - voglio una fotografia da cinegiornale”. Perché penso che ogni film serio, che descriva i contemporanei, dovrebbe essere una sorta di documentario del suo tempo. Solo allora, secondo me, si raggiunge un certo grado di verità in un film. In questo senso, Furia è un documentario, M è un documentario. Mi piace pensare che tutti i miei cosiddetti “crime pictures” siano dei documentari - Il grande caldo o Mentre la città dorme - che, a proposito, è un film che mi piace moltissimo. Fritz Lang (da Stefano Socci, Fritz Lang, Milano, Il Castoro Cinema, 1995 e Peter Bogdanovich, Il cinema secondo Lang, Parma, Pratiche Editrice,1988) |
|||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
FRITZ LANG Il posto di Lang nella storia del cinema è di importanza assolutamente primaria. Venuto dall'architettura (e fattosi in cinema geniale ideatore di scenografie come di rigorose costruzioni narrative) e formatosi alla scuola del “serial”, del feuilleton cinematografico, cioè dei “generi” del cinema di massa, egli ha, con perfetta coscienza, compreso e teorizzato la natura di mezzo di comunicazione di massa del cinema, contribuendo all'affermazione tecnica ed economica del cinema tedesco, così come più tardi ha saputo coerentemente accettare le regole del gioco hollywoodiano. Ma con altrettanta chiarezza ha saputo, dentro queste regole, proporre una sua visione dell'uomo e del mondo pienamente moderna, spesso influenzata formalmente dalle esperienze dell'avanguardia come dalla lettura di Freud e dal rapporto diretto (e conflittuale) con Brecht, ma anche radicata in una dimensione morale di antiche risonanze, al cui formarsi è stata certo determinante la lettura di Kant, e un'origine cattolica rivendicata negli ultimi tempi più volte. C'è così una continuità e non uno stacco tra le grandi opere di Lang (quelle del periodo tedesco, dal Dottor Mabuse a Metropolis a M; la straordinaria parentesi francese di Liliom; gli americani Furia, Sono innocente!, Anche i boia muoiono, La donna del ritratto, Strada scarlatta…) e i film più direttamente di genere, tedeschi o hollywoodiani, polizieschi e di guerra, western ed esotici, che è data dal rigore e dalla linearità formale non meno che dalla tematica. Che è quella di un “teatro” morale in cui il male, dentro o fuori dell'uomo, nelle pieghe della sua psiche o nella società che esso esprime e da cui è espresso, è sempre concretamente presente, e i canoni della giustizia sono labili e relativi, da riscoprire nella dimensione della lotta dell'individuo per trovare e definire una sua scelta, un suo, pur sempre precario, equilibrio. Goffredo Fofi, 1978 (da Lotte H. Eisner, Fritz Lang, Milano Mazzotta, 1978) |
|||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Fritz Lang moltiplica le notazioni feroci sui suoi personaggi non a fini satirici o parodistici ma per pessimismo. Di tutti i cineasti tedeschi che nel 1932 fuggirono il nazismo, è quello che non si “rimetterà” più, tant'è vero che l'America, che pure lo ha accolto, sembra ripugnargli. Per Fritz Lang, non c'è alcun dubbio che l'uomo nasce malvagio e l'orribile tristezza che emana dai suoi film ci fa pensare a Nuit et brouillard di Alain Resnais (…) È esattamente quest'idea - nessuno può giudicare nessuno, tutti sono colpevoli, tutti sono vittime - che Fritz Lang illustra con genio ostinato nella sua opera (…) Lo stile di Fritz Lang? In una sola parola: inesorabile. Ogni inquadratura, ogni movimento di macchina, ogni immagine, ogni spostamento d'attore, ogni gesto ha qualcosa di decisivo e di inimitabile. Un esempio? Questa inquadratura di You only live once in cui Fonda in prigione domanda alla sua donna dietro il vetro di uno spioncino di procurargli una pistola. Smorzando la voce, mimando esageratamente l'articolazione dei suoni, serrando le mascelle, Fonda non ci lascia intendere che le consonanti della frase : “Get me a gun”; si percepiscono solamente i suoni delle due g e della t e tutto con uno sguardo di un'intensità straordinaria. Bisogna dunque vedere o rivedere You only live once e a maggior ragione gli ultimi film di Fritz Lang alla luce di ciò, perché quest'uomo non è solo un artista geniale, ma anche il più isolato e incompreso dei cineasti contemporanei. François Truffaut, 1958 (da I film della mia vita, Venezia, Marsilio, 1978) |
|||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||